martedì 9 febbraio 2016

L’arte di vincere battaglie e perdere le guerre. Considerazioni sparse sul Family Day

Una settimana fa si è svolto a Roma il Family Day. Io, a scanso di equivoci, non vi ho partecipato. Non per mancanza di tempo, o almeno, non solo per quello. Non ero là perché semplicemente non volevo esserci. Ritengo che il Family sia, oggi più che mai, qualcosa di non cristiano. Oltre che inutile e controproducente.
Mi sembra che le principali guerre portate avanti dal cattolicesimo, specie quello italiano, nell'ultimo secolo si assomiglino un po’ tutte. Chi le ha portate avanti ha dimostrato di non aver imparato nulla dagli errori fatti precedentemente, finendo per rifarli.

Anche per questa sempreverde battaglia contro le unioni civili lascia un profondo effetto deja-vu. Sembra di rivedere un film in cui tutti sanno benissimo quale sarà la conclusione.
Già altre volte esponenti del clero hanno dichiarato guerra contro proposte di legge considerate, a torto o a ragione, contrarie ai valori del cristianesimo. Tutte le volte per mobilitare il laicato si è insistito su quanto fosse fondamentale quella specifica battaglia. Su quanto il nemico (proposta di legge, referendum o avversario politico) fosse il male assoluto. Su quanto un’ipotetica sconfitta avrebbe comportato un danno enorme per la società, il cattolicesimo o per tutto l’occidente. O magari per tutte queste cose assieme.
Ripercorrendo alcune di queste “riuscitissime” guerre si vede come alcune battaglie fondamentali sono anche state vinte. Salvo poi, alla fine, perdere la guerra. Solo a posteriori, magari molti anni dopo, si è riusciti a valutare con più obiettività l’argomento e a riconoscere che alcune di quelle è stato bene perderle.

Volendo fare un breve (e di certo non esaustivo) elenco di queste guerre mi vengono in mente: l’opposizione alla nascita dello Stato Italiano, culminata nel non expedit di papa Pio IX nel 1874; l’opposizione alla riforma del diritto di famiglia del 1975, le mobilitazioni anti-aborto e anti-divorzio; il referendum sulla procreazione assistita del 2005 e la stesura (ideologica) della legge 40. Mi fermo qua, ma l’elenco potrebbe essere ancora lungo.

All’alba dell’Unità d’Italia, si creò tra i cattolici un acceso dibattito tra chi, più tradizionalista, voleva un atteggiamento privo di compromessi verso il nuovo stato e chi, più realista, tentava di garantire una difesa dei valori cattolici. Per i primi era necessario non partecipare alle votazioni di qualsiasi tipo, fossero esse nazionali o locali, al fine di esprimere il dissenso verso il nuovo stato sabaudo, percepito come nemico occupante anticattolico. Strategia interessante, ma che portava alla totale irrilevanza politica del modo cattolico. Per i secondi, invece, occorreva garantire uno spazio ai cattolici nelle stanze del potere. Ciò poteva avvenire solo eleggendo politici cattolici in grado di difendere i diritti della Chiesa e dei fedeli. Lo scontro tra queste due fazioni, scontro fatto di articoli, riviste e giornali, fu durissimo. Esso durò fino al non expedit del Papa, favorendo un’ostinata ed infruttuosa opposizione extraparlamentare. Solo diversi anni dopo i cattolici tornarono alla politica.

La riforma del diritto di famiglia del 1975, che prevedeva di garantire pari diritti ai figli nati dentro e fuori dal matrimonio, oltre a garantire l’eguaglianza tra i coniugi, fu avversata da chi, cattolico, vi vedeva un grave pericolo per la famiglia cristianamente intesa. Anche alcuni quotidiani cattolici produssero titoloni sull'impossibilità della parità tra uomo e donna. Una posizione ideologica di vedere la famiglia ormai in fase di abbandono da parte della società e, di lì a breve, anche dalla stessa Chiesa. Nonostante quanto pronosticato dalla fazione reazionaria, questa riforma non ha causato la distruzione della famiglia. Ma ha permesso di epurarla da concetti e attributi poco evangelici che di fatto servivano solo per garantire un certo modello sociale, indipendentemente dal fatto che esso fosse giusto o meno. Già in quegli anni Ernesto Balducci provava a svelare quali principi non cattolici si nascondessero dietro all'idea di famiglia cristiana.

Anche sul divorzio, eterna battaglia dei cattolici italiani, non sembra andare meglio. Dopo battaglie furiose negli anni ’70 culminate nella sonora sconfitta referendaria, pare che ai politici cattolici ancora non sia andato giù che i matrimoni possano, almeno per lo Stato Italiano, essere sciolti. Ritengo giusto che chi, come me, condivide i valori cristiani non possa ignorare le parole di Gesù (vedi Mc 10,2-12). Ma ritengo altresì giusto che chi non crede o crede in altri dei non sia soggetto per legge alla mia stessa morale. Purtroppo il mondo cattolico si è considerato per troppo tempo l’ombelico del mondo, considerando il suo pensiero l’unico presente nella società. Mi sorprende l’opposizione dei cosiddetti politici cattolici contro i disegni di legge inerenti il divorzio breve. Allungando i tempi o complicando le pratiche per il divorzio non si convincono i separati a tornare assieme.

Situazione analoga si è avuta con il referendum del 2005 sulla procreazione assistita. A più di dieci anni di distanza mi chiedo che senso abbia avuto quell'opposizione così rigida da far fallire in modo clamoroso il referendum. Anche la cattolicissima legge 40 è stata demolita pezzo dopo pezzo dalla Corte Costituzionale e dalla Corte Europea dei diritti umani ed ora è solo un cumulo di macerie. Il tutto tra l’apparente indifferenza del cattolicesimo italiano. E pensare che solo 10 anni fa la mobilitazione fu fortissima, portando a livelli record l’astensione al referendum sulla procreazione assistita. Insomma un’altra grande guerra che sembrava vinta ed invece è stata persa.

Infatti è proprio questo il punto. Tutte le grandi battaglie partite in pompa magna, magari con grande chiamate alle armi del laicato cattolico, sono finite in sonore sconfitte. Anche se si è assistito a temporanee vittorie, alla fine sono state tutte dei fallimenti.
Penso che anche questa strenua opposizione al riconoscimento delle unioni omosessuali percorrerà la stessa strada delle battaglie che l’hanno preceduta. Anni fa, quando si è iniziato a parlare di riconoscimenti per le coppie omosessuali (vi ricordate i PACS?) il cattolicesimo italiano, capitanato dalla CEI ruiniana ha usato la scusa dei cosiddetti “valori non negoziabili” come scudo contro ogni tipo di confronto e dialogo sull'argomento. Il laicato è stato compattato e irreggimentato contro i disegni di legge sull'argomento (PACS e DICO). Ora, dopo anni e anni di chiusura, pare che i vecchi disegni di legge non fossero così male, di fronte alla prospettiva, diventata realtà in altri paesi europei, del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Non so se qualcuno se n’è reso conto, ma con la scusa dei “valori non negoziabili”, diventati poi “non dialogabili”, è stato sprecato un tempo che poteva essere proficuo per il dialogo. Non solo interno alla società,  ma anche al mondo cattolico italiano. Ora, purtroppo, la radicalizzazione dello scontro e l’aggressiva partitizzazione hanno reso l’argomento adatto unicamente ai dibattiti da talk show.
Non metto in dubbio che allo scorso Family Day fosse presente anche gente normale, normali cristiani, magari lì con la famiglia. Purtroppo, come spesso accade, sono i soggetti discutibili che fanno notizia. Non è accettabile ad un evento che dovrebbe essere legato alla religione parlare dal palco di sessualità solo dal punto di vista procreativo eliminandone il fine unitivo. La teologia è andata avanti e, per fortuna, non si sente più parlare di lenzuoli con il buco. Anche tra il pubblico si sono viste persone con una morale piuttosto discutibile, per usare un eufemismo. Nostalgici del ventennio,moralisti con la morale molto più morbida quando si parla di fedeltà coniugale,esaltati convinti di assurde teorie sugli omosessuali. Per non parlare di tutto quell’universo a parte che è il cattolicesimo che ruota attorno all’affondamento del ddl Cirinnà. Da padre Livio di Radio Maria che ha augurato la morte alla senatrice da cui il disegno prende il nome, solo per portare un esempio.

Insomma che dire? Sembra che la componente cattolica contraria alle unioni omosessuali, non avendo nulla da dire, sparga solo confusione per poter vincere questa ennesima “invincibile” guerra. Dai cartelloni pubblicitari contro il matrimonio omosessuale (anche se nel DDL Cirinnà si parla solo di unioni civili), al terrorismo vero e proprio contro la stepchild adoption (che non è una vera adozione).
Difatti, pare che il cattolicesimo italiano non abbia veramente più niente da dire. Una parte di esso è impegnata in guerre impossibili, l’altra parte sta alla finestra, in attesa di tempi migliori o semplicemente disinteressata. Di certo non si è più in grado di portare avanti posizioni, proposte o semplicemente idee nuove. Non riusciamo più ad essere propositivi, al massimo alcune frange tentano malamente di congelare il presente. Siamo finiti in un angolo a guardarci l’ombelico in modo compulsivo senza accorgerci che la società attorno a noi è cambiata e cambia tuttora.
Se veramente vogliamo provare a salvare quel mattone della società che è la famiglia, dovremmo davvero fare alcuni passi:
-         Promuovere un serio esame di coscienza in noi e nella comunità cattolica sul matrimonio. Chiediamoci, senza false retoriche perché una coppia di fidanzati, nel 2016, dovrebbe prendersi la briga di sposarsi. Chiediamoci che cosa il matrimonio in Chiesa significhi. Che valore ha quel sì e quello scambio di anelli di fronte a Dio. Lasciando da parte tutto l’aspetto sociale e folkloristico.
-         Se da questa riflessione il valore del matrimonio nell'idea che abbiamo di cristianesimo e di comunità cristiana si è rafforzato, non si può non pretendere che anche le strutture pastorali si adeguino. Servono comunità parrocchiali in grado di fornire un aiuto concreto alle coppie sposate, specie a quelle in difficoltà. Questo indipendentemente che la difficoltà sia di tipo economico, di salute o affettivo. Alcune valide realtà ci sono, ma mi sembrano sorte qua e là solo per la buona volontà di un qualche religioso.
-         Proseguendo il discorso iniziato nel punto precedente, anche la formazione dei giovani che vogliono sposarsi non può ridursi ad un corso matrimoniale di cinque-sei incontri tenuti in parrocchia e composti unicamente dai monologhi del sacerdote. Anche il periodo del fidanzamento, che tende sempre più ad allungarsi, meriterebbe maggiore attenzione. Purtroppo i ritiri o i corsi per fidanzati sono eventi rari, rarissimi. Se si fa formazione ai futuri sposi non vedo perché non si dovrebbero pensare percorsi per i fidanzati, per aiutarli a capire se quella è la loro vocazione e se la devono vivere davvero con quella persona.
-         Infine, guardare con obiettività ciò che mette davvero in pericolo la famiglia. Non ciò che mette in crisi il concetto astratto di famiglia ma le famiglie vere, quelle composte da persone in carne ed ossa. In questo elenco ovviamente non c’è il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. In compenso c’è la mancanza di un serio piano casa per le coppie, la mancanza di una legislazione a favore delle famiglie, la mancanza per i giovani di un lavoro stabile e di una conseguente stabilità economica che gli permetta di pianificare la loro vita, la cronica assenza di servizi (l’insufficiente numero di posti negli asili nido è un ottimo esempio) o il calo nella qualità di altri (ad esempio la qualità della scuola pubblica italiana o della sanità). Per non parlare dei veri e propri abusi, quali la firma delle dimissioni in bianco da parte delle giovani, che sanno bene di rischiare il posto di lavoro per una gravidanza. Questi sì che sono veri attentati alla famiglia. Strano che qualche sedicente politico cattolico non dichiari guerra contro tutto ciò. Troverebbe molti, cattolici e non, pronti ad appoggiarlo.