Non è carino, lo so. Ma questo articolo devo iniziarlo con
una sostanziosa premessa: questo non è un blog che si occupa di tematiche
politiche e sociali. Se cercate un blog di questo tipo avete sbagliato pagina. Fields
of Hope vuole essere uno spazio in cui potermi sentire libero nello scrivere e
descrivere i sentimenti che mi attraversano, specialmente quelli che hanno
un’attinenza, più o meno velata, con la sfera religiosa.
Detto questo vorrei introdurvi i fatti: a Brescello, un
piccolo paesino del reggiano, si è scatenato un vero e proprio putiferio dopo
che un piccolo gruppo di ragazzi della webtv “Cortocircuito” ha realizzato un
cortometraggio sulle infiltrazioni mafiose nella provincia reggiana (parte 1, 2
e 3).
Nella prima parte del documentario si fa riferimento alla presenza nel paese di Francesco Grande Aracri, appartenente all’omonima cosca e condannato in via definitiva per associazione di stampo mafioso. Il fratello di Francesco è Nicolino Grande Aracri, più volte condannato e capo dell'omonima cosca. Il sindaco del paese, intervistato dai ragazzi della webtv, sulle domande più spinose, appare a disagio, usa frasi evasive, non entra nel dettaglio dei fatti. Non parla ed è visibilmente in difficoltà di fronte alle domande incalzanti dell’intervistatore.
Nella prima parte del documentario si fa riferimento alla presenza nel paese di Francesco Grande Aracri, appartenente all’omonima cosca e condannato in via definitiva per associazione di stampo mafioso. Il fratello di Francesco è Nicolino Grande Aracri, più volte condannato e capo dell'omonima cosca. Il sindaco del paese, intervistato dai ragazzi della webtv, sulle domande più spinose, appare a disagio, usa frasi evasive, non entra nel dettaglio dei fatti. Non parla ed è visibilmente in difficoltà di fronte alle domande incalzanti dell’intervistatore.
Già questo sarebbe sufficiente,
ma non è stato così. Nei giorni successivi il paese si è mobilitato indifesa del sindaco respingendo con forza davanti alle telecamere anche solo il minimo dubbio che nel paese possano esserci delle infiltrazioni
mafiose.
Anche il parroco, don Evandro
Gherardi, si è schierato apertamente.
Ha sfruttato l’occasione della tradizionale processione della benedizione del
Po, ha sentenziato che la mafia che non c’è. A quanto pare il presbitero ha
ripetuto per ben tre volte l’affermazione “Brescello non è mafiosa”. Non ho
idea se queste parole volessero essere una invocazione, uno strano esorcismo o
un augurio. Di sicuro sono parse a tutti (fedeli inclusi che lo hanno
applaudito) un’affermazione caricata di una certezza granitica.
Infine, ciliegina sulla torta, ha
espresso solidarietà al sindaco per gli attacchi e le richieste di dimissioni
seguite all’intervista. Incredibile ma vero. Nel paese di Peppone e don Camillo
sindaco e parroco si trovano dalla stessa parte nel rimandare al mittente i
dubbi sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel paesino.
Non voglio mettere in dubbio la
buona fede di don Evandro, che tra l’altro non conosco direttamente, motivo in
più per evitare giudizi affrettati, ma è evidente dai documenti riportati
nell’inchiesta di Cortocircuito che qualcosa c’è. È palese. Al nord la mafia
non si presenta nei modi folkloristici con cui era descritta in vecchi film.
Nessuno si aggira con lupara e coppola a chiedere il pizzo. La mafia si
comporta come un tumore, si espande, corrompe ed infetta i tessuti anche senza
dare sintomi.
Comprendo nel profondo la
mentalità degli abitanti di Brescello. Anche io provengo da un piccolo paese
del reggiano e appunto per questo capisco che una piccola comunità si possa
essere sentita attaccata. Attaccata nella sua integrità morale, nella sua
immagine di ridente borgo in cui Fernandel e Cervi hanno messo in scena le
avventure narrate da Guareschi. In questo modo mi spiego l’iniziale reticenza
delle persone al bar alle domande dei ragazzi di Cortocircuito e la successiva
aggressività di fronte alla stampa nazionale una volta accesi i riflettori sul
caso.
Comprendo ma non condivido. In particolare
non posso scusare l’atteggiamento del parroco. Non si può solamente assecondare
il bisogno di quieto vivere della propria comunità. Non si può solo raccontare
che tutto va bene quando ci sono concreti pericoli di infiltrazioni della
‘Ndrangheta nel tessuto economico locale. Non si può stare zitti. Minimizzare e
tacere su questi pericoli, o peggio negare l’evidenza dei fatti non può che
essere, agli occhi di Dio, un peccato.
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